Nel convegno a Roma un lungo confronto tra associazioni, pazienti, istituzioni e rappresentanti del Terzo Settore. Gli obiettivi comuni: preservare la gratuità del dono e assicurare terapie e standard di sicurezza sempre più elevati

Uno sforzo comune e generale che, con il sostegno deciso delle istituzioni, contribuisca a rinnovare il sistema trasfusionale italiano e a garantire il fabbisogno di emocomponenti a malati cronici e ospedali. Può essere sintetizzato così il coro unanime che, da associazioni, pazienti, specialisti, accademici ed enti del terzo settore, si è alzato dal convegno “Donare sangue è un gesto di solidarietà. Unisciti a noi e salva delle vite”.

Organizzato da AVIS Nazionale a Roma in occasione della Giornata mondiale del donatore, l’incontro ha rappresentato un momento prezioso di approfondimento su un tema che riguarda tutti in prima persona: la donazione di sangue e plasma e il raggiungimento dell’autosufficienza di farmaci plasmaderivati. Moderato dalla giornalista del Corriere della Sera, Margherita De Bac, l’evento di Palazzo Santa Chiara si è sviluppato lungo quattro macro sessioni.

Guarda il Convegno AVIS “Donare sangue è un gesto di solidarietà. Unisciti a noi e salva delle vite”

La donazione in Italia

Nel fare gli onori di casa, il presidente di AVIS NazionaleGianpietro Briola, ha ricordato quanto «ad oggi il tema della carenza di emocomponenti sia attuale anche in quelle regioni tradizionalmente autosufficienti. Terapie e interventi programmati sono a rischio, per questo è necessario uno sforzo comune e generale per trovare, insieme, le soluzioni di cui abbiamo bisogno: in primis il personale sanitario. Il settore trasfusionale non può essere visto come una cosa in più: occorre capire che senza di esso gli ospedali non sarebbero operativi. Da qui la necessità di riorganizzare il sistema».

E un punto di partenza importante, in tal senso, è rappresentato non solo dal colmare le criticità della raccolta, ma da un «efficace uso del sangue – ha spiegato il direttore dell’Ufficio trapianti, sangue ed emocomponenti del Ministero della Salute, Mauro Dionisio – Applicare un corretto patient blood management, infatti, è la strategia per gestire al meglio gli emocomponenti e ragionare sempre più non solo in termini di quantità, ma di qualità e sicurezza per chi dona e per chi riceve. In tal senso sarà importante quanto previsto dal Disegno di legge Concorrenza che porterà risorse supplementari al sistema per le attività quotidiane».

Attività che si reggono sull’attività dei donatori. Secondo il direttore del Centro nazionale sangueVincenzo De Angelis, «se il sistema è rimasto in piedi nonostante l’emergenza provocata dal Covid è proprio grazie a chi ogni giorno compie questo gesto di solidarietà. I dati del 2021 segnano una ripresa, pur non raggiungendo i livelli pre-pandemia». Scorrendo i numeri e i grafici sull’andamento dello scorso anno, il direttore ha fatto appello «alle donne e ai giovani», sottolineando come «le sfide di cui stiamo parlando qui oggi vadano vinte insieme. Le carenze sono già segnalate, l’avvio del 2022 non ci lascia tranquilli né in termini di globuli rossi e né di plasma. La compensazione extraregionale straordinaria non ci sarà nel corso dell’estate, perché il sangue in eccedenza servirà ai reparti di chirurgia per recuperare gli interventi rinviati in precedenza. Nessuno si salva da solo».

Il valore della donazione gratuita

Dopo i saluti inviati dal presidente della SIMTI, Francesco Fiorin, è stata la volta del professor Emiliano Ricciardi e del dottor Dario Menicagli che hanno presentato i risultati dello studio “La propensione al dono in Italia”, condotto dalla Scuola IMT Alti Studi di Lucca in collaborazione con AVIS Nazionale e quattro Avis Regionali (Emilia Romagna, Lombardia, Puglia e Toscana). La ricerca, che è la più vasta effettuata per la prima volta nel nostro Paese su questo tema, ha permesso di confrontare il comportamento dei donatori italiani, che non ricevono compensi per il loro gesto periodico, con quello degli ungheresi, nazione in cuiinvece la donazione di plasma prevede una forma di compensazione. Proprio analizzando quanto avvenuto durante la pandemia, con le donazioni che hanno tenuto nei Paesi dove questo gesto è gratuito, è emerso che il sistema italiano si è confermato ancora una volta come un modello virtuoso nel consolidamento e nell’ampliamento delle motivazioni verso il dono, poiché genera un meccanismo solidale volto all’autosufficienza che garantisce una “carriera di donatori” molto lunga.

Un concetto che è stato ripreso anche dall’intervento del professor Corrado Del Bò, ordinario di Filosofia del diritto all’università di Bergamo: «La pandemia impone un ripensamento del contenuto concettuale del diritto alla salute. Non possiamo infatti più circoscriverlo a una serie di misure preventive di carattere generale o di trattamenti al bisogno. L’esigenza di tutelare la propria salute e quella degli altri diventa un modo per realizzare un altro valore: la solidarietà. Ma a differenza di quella che diamo in forma “espressiva”, il Covid ci ha fatto capire che è possibile esprimerla in maniera concreta, agendo con un fine mutualistico partendo da noi stessi e arrivando a chi abbiamo intorno».

Le esigenze dei pazienti

E chi abbiamo intorno sono proprio quelle persone che nel gesto etico, periodico e gratuito vedono cure e speranza reale di vita: i pazienti. AIL, AIP e UNITED Onlus sono state le tre associazioni intervenute al convegno di Palazzo Santa Chiara e che hanno spiegato quali sono le difficoltà che un malato cronico si trova a gestire quotidianamente. «Aumentare il numero dei donatori è fondamentale – ha detto Pino Toro, presidente dell’AIL – ma altrettanto lo è l’organizzazione della raccolta. Praticare la solidarietà a scuola e lo spirito di cittadinanza attiva è il punto da cui partire: le associazioni devono essere unite a livello nazionale e noi siamo pronti a sostenere ogni iniziativa di questo tipo».

Secondo Alessandro Segato, presidente di AIP, «la politica deve considerare sangue e plasma come una scelta strategica che non riguarda soltanto noi. Le associazioni non possono essere lasciate da sole: possono fare delle proposte, promuovere iniziative, ma le soluzioni devono trovarle le istituzioni. È questa la base della civiltà».

Un richiamo alla responsabilità è quello che ha invitato a fare Raffele Vindigni, presidente di UNITED Onlus: «Ciascuno di noi ha il dovere di non aspettare. Noi pazienti dobbiamo essere i primi a collaborare attivamente con le organizzazioni di volontariato e le istituzioni locali e nazionali. Se vogliamo che le nuove generazioni conoscano quello di cui parliamo dobbiamo iniziare la sensibilizzazione già dalle nostre famiglie. La gestione delle risorse è alla base di tutto questo: non possiamo permettere che in un Paese come il nostro le possibilità di cura dipendano dal territorio dove una persona nasce. Non è giusto. Il diritto alla salute deve valere per tutti».

Le sfide del volontariato e del Terzo Settore

Il concetto di alleanza è quello con cui il professor Stefano Zamagni, presidente della Pontificia accademia delle scienze e ordinario di Economia Politica all’università di Bologna, in collegamento ha aperto l’ultima sessione del convegno: «Se gli enti pubblici non hanno più un ruolo da protagonisti, occorre come si dice in gergo prendere il toro per le cornaNella donazione non basta la motivazione intrinseca del donatore: occorre far capire in che modo il sangue donato diventa utile agli altri. Se non avviene questo, il donatore interromperà la sua azione volontaria».

Lavorare per costruire una comunità, insomma, questa è la strada indicata da Andrea Volterrani, sociologo dei processi culturali e della comunicazione all’università degli studi di Roma Tor Vergata: «È necessario agire per creare relazioni più intense in cui il volontariato ha un ruolo fondamentale. È difficile, perché ci vogliono tempo e pazienza, ma occorre intervenire sulla popolazione di ogni età. Oggi sono stati chiamati più volte in causa i giovani, ma che ne è della fascia tra i 35 e i 50 anni? Da che parte sta andando la donazione? Roma è un caso emblematico, in quanto è una città vastissima dove si fa raccolta con tre autoemoteche e dove ci sono quartieri in cui questa sensibilità non c’è. Non credo sia quindi un problema di Nord o Sud, ma di disgregazione delle singole comunità».

E proprio questa è una delle sfide che attendono il Terzo Settore. Come ha spiegato Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum, «l’obiettivo è portare il contributo del volontariato nel dibattito pubblico. Nel momento in cui il Paese ripensa se stesso costruisce un nuovo welfare con la persona al centro. Non possiamo accorgerci di realtà come AVIS solo quando servono: dobbiamo essere parte attiva di un movimento che, attraverso iniziative culturali, sportive o sociali, trasmetta questi valori e quello assoluto della gratuità alla collettività di cui ciascuno di noi è parte. Il Terzo Settore deve essere attore protagonista dei tavoli istituzionali».

fonte Avis.it

image_pdfSalva PDFimage_printStampa