Gli interventi della Responsabile dell’Unità di Raccolta di Avis Provinciale Reggio Emilia, del Presidente di AVIS Nazionale e della Regione Emilia Romagna

Alla luce delle attuali conoscenze scientifiche non esiste per ora una cura o un vaccino contro il Covid-19. Al momento la scienza si concentra sulla possibilità di  sconfiggerlo utilizzando gli anticorpi che si generano come  risposta immunitaria all’aggressione dell’individuo da parte del virus La produzione di anticorpi  costituisce una delle funzioni principali del sistema immunitario ed in particolare nel plasma, la parte liquida del sangue, sono presenti alte concentrazioni di anticorpi. Il plasma, cosiddetto iperimmune, dei pazienti guariti o portatori sani, potrebbe essere in grado di combattere e indebolire il virus. Già per le epidemie di Sars, West Nile ed Ebola si è sperimentata questa strada.

I presupposti sono promettenti ma non ancora abbastanza solidi come chiarito di seguito dalla Dott.ssa Annalisa Santachiara, Responsabile dell’Unità di Raccolta Avis Provinciale di Reggio Emilia.

Il plasma iperimmune può essere considerato una vera e propria terapia?

  • L’utilizzo del plasma iperimmune per la cura dei malati covid-19 è una terapia tampone, temporanea e sperimentale concessa solo ad alcuni centri. Non può essere una strategia terapeutica per il futuro. La donazione di plasma deve rispettare gli stessi standard di qualità e selezione del donatore di sangue. La sperimentazione ha il fine ultimo di poter validare un test sierologico per valutare gli anticorpi in chi sia guarito, la loro quantità e durata e di poter ricavare dal plasma dei guariti stessi gli anticorpi anticovid sotto forma di farmaco da somministrare, preventivamente come profilassi, o ai pazienti immunodepressi. Questa può rappresentare eventualmente la strada da intraprendere, ma necessita di tempo.

Che cosa si intende per “test sierologico”?

  • Il test sierologico è un test fatto sul sangue e serve per misurare gli anticorpi (memoria immunologica) la cui presenza indica se un soggetto ha avuto la malattia (di recente alte IgM, da molto tempo IgG). Per il Covid 19 non è ancora chiaro se la memoria immunologica e quindi l’immunità sia permanente oppure se sia possibile ri-ammalarsi. Anche per questo ci sarà bisogno di tempo.

Che cosa si intende per “immunoglobuline specifiche” contenute nel plasma?

  • Ad una persona che si ferisce e non ha copertura vaccinale antitetanica vengono somministrate immunoglobuline antitetano per via iniettiva ricavate da plasma di donatori, ma non si somministra plasma in toto poiché il plasma contiene molte altre proteine che potrebbero essere inutili o addirittura dannose per il ricevente. Così dovrà avvenire per il Covid 19. Si dovranno ricavare- se possibile e solo il tempo e le sperimentazioni ce lo diranno- immunoglobuline specifiche da somministrare ad hoc ad ammalati o pazienti a rischio.


Quali prospettive possono esserci per un vaccino?

  • Produrre un vaccino significa trovare una sostanza (virus ucciso, attenuato, parte di virus, gene del virus) che generi la produzione di anticorpi neutralizzanti una patologia nell’individuo vaccinato …non basta la reazione del sistema immunitario ma è necessario che gli anticorpi prodotti possano neutralizzare il virus. In patologie come HIV ed Epatite C la risposta immunitaria c’è ma è inutile. Il fatto quindi che si possa trovare un vaccino protettivo per il Covid 19 è una scommessa. Attualmente si sta sperimentando come vaccino un gene che genera la proteina che il virus utilizza per replicarsi ed entrare nelle cellule. Nei topi (fase 1 della sperimentazione) -che però non possono ammalarsi di coronavirus- questa proteina provoca una risposta immunitaria. La fase 2 della sperimentazione sarà valutare se nell’uomo, come risposta alla produzione di tale proteina, verranno prodotti anticorpi che siano neutralizzanti per il virus e quanto saranno duraturi . Servirà tempo.”

Anche il Presidente di AVIS Nazionale, Gianpietro Briola ribadisce in una nota dedicata che “AVIS, insieme al mondo scientifico e al Centro Nazionale Sangue, sta seguendo con molta attenzione l’evoluzione e si sta adoperando per studiare queste opportunità. Al momento, però, è importante mantenere la calma e informarsi sempre attraverso fonti attendibili e non creare false aspettative. Appena conosceremo il test che meglio è in grado di rilevare e dosare questi specifici anticorpi e non appena le aziende di plasmaderivazione saranno in grado di produrre le immunoglobuline specifiche, coinvolgeremo la generosità dei donatori per la plasmaferesi».

Il video del presidente Briola che spiega le sperimentazioni attuali:



Leggi anche: DOMANDE FREQUENTI SU PLASMA IPERIMMUNE E TEST SIEROLOGICI


LA POSIZIONE DELLA REGIONE EMILIA ROMAGNA: “Presto per trarre conclusioni definitive, dati ancora scarsi”.
Così il professor Pierluigi Viale, componente dell’Unità di crisi regionale Covid-19 e direttore dell’unità operativa di Malattie Infettive del Policlinico Sant’Orsola di Bologna

“Dati di letteratura riferiti solo a una ventina di pazienti, tutti in fase di malattia avanzata e curati anche con altri farmaci. Prima di considerarla terapia di riferimento, è necessario verificarne l’efficacia in fase più precoce, in assenza di altre cure e con un più lungo follow-up”. Pertanto, al momento in Emilia-Romagna non viene utilizzata

“Una risorsa terapeutica importante, ma i dati ancora scarsi non consentono di trarre conclusioni definitive”.
La Regione Emilia-Romagna interviene sulla plasma terapia, e lo fa attraverso le valutazioni del professor Pierluigi Viale, componente dell’Unità di crisi regionale Covid-19 e direttore dell’unità operativa di Malattie Infettive del Policlinico Sant’Orsola di Bologna.

Parliamo di una risorsa terapeutica nota il cui utilizzo risale ad oltre cinquant’anni anni orsono, che si basa sul principio della trasmissione passiva degli anticorpi come strumento terapeutico nei confronti di malattie da infezione- spiega Viale-. Era già stata sperimentata durante le due precedenti epidemie da Coronavirus (Sars e Mers), per cui alcuni gruppi di lavoro l’hanno messa in atto anche nei confronti di Covid-19”.

“Tuttavia i dati di letteratura sono al momento molto scarsi, quasi aneddotici: si riferiscono infatti a meno di venti pazienti, tutti in fase di malattia avanzata e tutti co-trattati con altri farmaci, per cui è difficile trarre conclusioni definitive- aggiunge-.  Anche per questa terapia sarebbe necessario mettere in atto uno studio prospettico randomizzato e soprattutto verificarne l’efficacia in fase più precoce di malattia ed in assenza di co-trattamenti”.

A queste considerazioni, il professor Viale aggiunge ulteriori valutazioni scientifiche che spingono la Regione ad adottare una linea prudenziale, quindi a scegliere di non utilizzare al momento questa terapia sui pazienti affetti da nuovo Coronavirus ricoverati nelle strutture del sistema sanitario emiliano-romagnolo.

“Vi sono alcune perplessità di fondo rispetto a tale terapia- sottolinea Viale-. Innanzitutto il fatto che non si sappia se gli anticorpi presenti nel siero dei pazienti guariti siano protettivi e per quanto perdurino. Secondariamente, appare azzardato somministrare passivamente anticorpi ad un paziente – specie in una fase di malattia in cui sia possibile utilizzare risorse alternative – fino a quando non sarà chiarito il rischio che Covid-19 possa sfruttare il meccanismo attraverso cui gli anticorpi fungono da vettore di infezione da altro sierotipo virale piuttosto che da fattore protettivo; parliamo di ciò che scientificamente viene denominato antibody-dependent enhancement, Un’ulteriore perplessità giunge dall’ipotesi che la somministrazione di plasma contenete anticorpi di un’altra persona possa innescare patologie immuno-mediate”.

“Per tutti questi motivi- conclude Viale- l’utilizzo routinario del plasma in pazienti affetti da nuovo Coronavirus dovrebbe avere una rigorosa fase sperimentale ed un più lungo follow up prima di essere considerato una terapia di riferimento”.

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